Agricoltura conservativa

Pubblicato il: 06/02/2017 10:00
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Articolo a cura di Martina Pugno

Le pratiche di agricoltura conservativa, che permettono di migliorare la fertilità dei terreni abbattendo le emissioni della lavorazione agricola, sono in rapida diffusione: scopriamone pregi e criticità.

Promuovere la produzione agricola ottimizzando l’uso delle risorse e contribuendo a ridurre il degrado del terreno attraverso la gestione integrata del suolo, dell’acqua e delle risorse biologiche: questa, in una definizione, è l’agricoltura conservativa (def. Università degli Studi di Milano).

Un approccio ecosostenibile protagonista di una rapida crescita: tra il 2008 e il 2013, la sua diffusione nel mondo è aumentata del 47%, mentre in Italia si contano 380mila ettari di terreni coltivati secondo le tecniche di quella che viene definita anche “agricoltura blu”. I dati sono stati presentati in occasione del recente convegno organizzato da Aigacos (Associazione Italiana per la Gestione Agronomica e Conservativa del Suolo) e Terra di Marche presso il teatro La Nuova Fenice di Osimo (An), durante il quale è stato fatto il punto sulle innovazioni del settore.

Ma quali sono i principali vantaggi che stanno spingendo questo rapido sviluppo naturale, scevro da ingenti contributi statali o europei?

Da una parte abbiamo i benefici per il suolo lavorato, dall’altra i vantaggi, più in generale, per l’ambiente. Grazie alle tecniche di agricoltura conservativa, infatti, è possibile limitare l’erosione idrica ed eolica del terreno, protetto da una copertura vegetale permanente. Così, il minore compattamento del terreno e l’aumento della materia organica presente consente di incentivare la biodiversità. In questo modo, aumentano i nutrienti biodisponibili per la vegetazione, con il risultato di una maggiore fertilità costante del terreno e una riduzione dei costi: un terreno fertile è un terreno dall’elevata resa, efficiente anche dal punto di vista economico.

Gli effetti positivi dell’agricoltura conservativa, dicevamo, non riguardano solo il terreno al quale viene applicata: il suolo, infatti, è in grado di conservare maggiore carbonio organico, sequestrando CO2 e riducendo le emissioni di gas serra. Un ulteriore taglio alle emissioni inquinanti deriva, infine, dalla minore necessità di lavorazioni che richiedono l’uso di macchinari agricoli.

In queste tecniche viene vista una risposta al problema della perdita di fertilità dei terreni che interessa soprattutto la fascia climatica che comprende anche l’Italia: un allarme lanciato recentemente dall’Unep e già noto da tempo. Nel 2012, la Fao ha istituito la Global Soil Partnership proprio per promuovere azioni contro il degrado dei terreni.

Nonostante la sua rapida diffusione, l’agricoltura conservativa pone però gli agricoltori anche di fronte a difficoltà iniziali: prima di giungere a un equilibrio dei terreni possono passare anche 7 anni, durante i quali è possibile dover fare i conti con una minore resa. Inoltre, la transizione richiede investimenti di un certo peso economico e una formazione specifica. Tutti sacrifici, però, che si stanno rivelando ben ripagati nel medio termine.