End of waste

Pubblicato il: 11/11/2016 09:00
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End of waste: quando un materiale non è più un rifiuto?

ll ministero dell’Ambiente è tornato di recente sul tema per fornire chiarimenti alle amministrazioni deputate al rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di recupero.

Tra i temi che più caratterizzano la disciplina sulla gestione dei rifiuti, il tema del cosiddetto “End of waste” da tempo è sotto i riflettori non solo del legislatore (comunitario e, di riflesso, nazionale), ma anche di operatori economici, stakeholder e altri soggetti legati alla filiera del recupero e riutilizzo di materiali. Il concetto, che in estrema sintesi si concretizza nel definire quando un materiale di scarto o a “fine vita” può essere escluso dall’alveo della disciplina sui rifiuti per poter essere destinato ad altri utilizzi, si colloca nel solco delle politiche di circular economy, rivestendo anche un deciso interesse sotto il versante economico, in quanto tali materiali possono rientrare in cicli produttivi, diventando così nuove risorse. Il termine è stato introdotto per la prima volta nell’ambito della “Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti”, varata dalla Commissione europea il 21 dicembre 2005 come parte della riforma della direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE), provvedimento che per primo ha dettato le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto di una sostanza o un oggetto: essere comunemente utilizzato per scopi specifici; avere un mercato o una domanda di riferimento; soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana come conseguenza dell’utilizzo, prendendo in considerazione, in primis, i valori limite per le sostanze inquinanti. Questi criteri sono stati poi introdotti nell’ordinamento italiano tramite l’art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006 (testo unico ambientale).

E proprio sulla corretta applicazione di questo articolo, è recentemente intervenuto il ministero dell’Ambiente con la nota 1° luglio 2016, n. 10045, allo scopo di fornire chiarimenti alle amministrazioni deputate al rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di recupero. L’intervento si è reso necessario dopo che alcune amministrazioni avevano interpretato troppo alla lettera la normativa, stabilendo che l’unico requisito per il conseguimento dell’end of waste fosse la sussistenza delle condizioni previste dalla direttiva quadro sui rifiuti. In verità, ricorda il Ministero, la stessa direttiva quadro prevede che, in assenza di criteri stabiliti a livello comunitario, gli Stati membri possano decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Non solo; la nota n. 10045/2016 ricorda, infatti, come esista una sorta di gerarchia delle fonti legislative tale per cui i criteri di cui ai regolamenti europei prevalgono, nell’ambito del loro rispettivo campo di applicazione, sui requisiti definiti con i decreti ministeriali, che, a loro volta, risultano essere prioritari rispetto ai criteri stabiliti dalle regioni in fase di autorizzazione ordinaria relativamente agli impianti di recupero dei rifiuti. Solo nel caso in cui non esistano criteri ministeriali per determinati oggetti o materiali, le amministrazioni regionali possono definire criteri autonomi per l’applicazione dell’end of waste, previo sempre e comunque il rispetto delle condizioni di cui all’articolo 184-ter del testo unico dell’ambiente.

In un contesto nazionale caratterizzato, da un lato, dall’obbligo di recepire le linee di azione comunitarie e, dall’altro, dalla necessità di far decollare definitivamente modelli di sviluppo legati alla circular economy, la nota ministeriale rappresenta sicuramente un utile spunto interpretativo, in grado di semplificare la concessione di autorizzazioni a favore della reinserimento in cicli produttivi di materiali che, diversamente, andrebbero smaltiti.